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giovedì 15 settembre 2011

Depauperare l'animo

Credo che la vera vita, stia nascosta negli incroci, negli intrecci che si formano tra le persone. In quello spazio strano, fatto di momenti brevi e lunghi, attimi pericolosi e noia, silenzi e risa.

Devo aver perso pezzi d'animo nelle lunghe attese sotto casa.

Aspettavo da piccolo, un mio amico, più grande, che aveva poca accortezza nel rispettare gli orari; non era mai in anticipo, mai. Sempre in ritardo, rigoroso, inevitabile, snervante ritardo. Erano tempi in cui non c'era mica il telefono cellulare; ci si dava appuntamento e si aspettava.
Ho aspettato tanto nella mia vita, così tanto che ho perso il conto, non di quanto ho aspettato, ma di quando ho smesso di contare che stavo aspettando. E' forse in quel momento che ho compreso cosa fosse la pazienza. E' ascetica l'attesa; ti produce anche la sciatica se aspetti sul cemento, contando macchine come fossero pecore.
Ma io non ero ne un pastore, ne un anacoreta, quindi qualcosa dovevo fare.
Fantasticavo su dove fosse finito, il mio amico, perché era così in ritardo.

Credo di aver aspettato un giorno anche due ore e mezza.
Son centocinquanta minuti, circa 1200 macchine, 500 pedoni, 18 cani (3 con pelo molto lungo e alti almeno 60cm al garrese) un paio di suore, uno in carrozzella a motore berretto in testa e occhiali da sole.

Ad aspettare comprendi che la vita ha un senso ben preciso. Perché nel momento in cui l'attesa finisce, quasi non ha importanza quanto hai aspettato.

Ma la cosa più difficile da combattere era la noia mentre faceva l'amore con l'incazzo. Perché avevo il culo dolente a forza di stare sul cemento, intontito dallo sciabordio delle autovetture lanciate sull'asfalto e gonfio di rabbia da far morire qualcuno.
Come ti regoli con tutto quel fastidio che ti gonfia la gola?
Quasi non me la ricordo più quella sensazione.

Sono anestetizzato dalla tecnologia, febbricitante come un ragazzino nell'attesa di Diablo 3, consumato dal lavoro, zuppo di vita, miserabile, in cerca di qualcosa che mi impegni la mente. Per non pensare, non riflettere, non cercare di capire, non interrogarsi.

Ma io stavo li ad aspettare, sotto casa, culo e cemento. Perché sono sempre stato uno caparbio, io. Cocciuto & Coglione.

Era quasi un momento magico, salire in macchina dopo la lunga attesa e scoprire che diavolo era successo al mio amico e sviscerare nel profondo come mai era così tanto in ritardo. Le storie che si inventava, puzzavano di verità. Gli uscivano dalla bocca dei racconti, dove pareva che gli si fosse bloccato il cervello, o gli si fossero allungati i tendini per cui faceva fatica ad andare veloce. Mi ricordo che lo pigliavamo pure per il culo, sostenendo che si lavava i capelli sul lato destro, mentre li asciugava sul sinistro; poi invertiva.

Dopo dieci minuti, mi passava tutta l'arrabbiatura, anche se avevo aspettato due ore.
Attendere mi ha insegnato il gusto per la vita.

Spero di cuore che tutti quanti voi dormiate bene.

mercoledì 8 giugno 2011

Indovina chi altri ha avuto la stessa idea, in questi giorni?

(la fidanzata lesbica arrabbiata della mia coinquilina. la prima volta che tagliava i capelli a qualcuno. poi, quando lei e' uscita di casa, me li sono rasati a zero... )

domenica 5 giugno 2011

And on a lighter note


Autocommentantesi

Editorial Intern Seek Personal Drama to Cannibalize

Ieri sera sono stato invitato a un house party, il quale, oltre a essere poco più che un’ulteriore conferma del mio invecchiamento e del fatto che, interessi antropologici a parte, io e i party quel poco che avevamo da dirci non l'abbiamo più, è stata anche una piccola lezione sull’intrinsica imprevidibilità delle cose.

Il compagno di corso e padrone di casa che mi ha invitato, Tom, è un “lad” che alla sua base di essere totalmente “lad” (pub-calcio-fregna-tv-camicie quadrettate comprate da H&M-laurea in scienze della comunicazione) aggiunge qualche timido elemento d’individualità tipo un piccolo tribale sulla schiena o qualche racconto dei suoi tre mesi in Tailandia.

Le prospettive non erano delle migliori. L’unico punto a favore del party era la mia totale e completa assenza di aspettative.

E il party non mi ha smentito. La popolazione, un sacco di generici giovani urbani bianchi e neoventenni, che, oltre alle tipiche pretese e velleità e senso di self-entitlement* derivanti dall’essere generici giovani bianchi urbani neoventenni, erano pure inglesi e molto ubriachi, quindi stretti di manica, diffidenti e non particolamente ospitali. Il codice morale del BYOB è abbastanza stretto, e mi è toccato chiedere il permesso più e più volte per avere un sorso da questa bottiglia di gin o da quella bottiglia di gin, il che non è un gran problema (stridori culturali con il senso d’ospitalità mediterraneo a parte), basta fare una battuta auto-ironica sugli italiani scrocconi e l’alcol arriva.

C’è una ragazza che ha fatto l’Erasmus a Bologna e che mi vuole parlare in italiano a tutti costi, ma forse per lei l’alcol non ha il solito effetto fludificante sulle lingue straniere, e io mi impegno a disambiguare dal contesto o a cambiare argomenti o a dribblare le sue domande (almeno penso fossero domande) per evitare di farle notare che i suoni che le escono dalla bocca intorpidita non hanno alcun significato nella mia o in qualsiasi altra lingua. Ma per quanto soddisfacente, l’esercizio retorico/conversazionale/semantico dopo un po’ stanca e io con una scusa mi defilo. Se tutto è andato secondo i piani Claire si è sentita soddisfatta del suo italiano.

Le uniche quattro persone che conoscevo a parte il padrone di casa levano le tende dopo un’ora.

Alcuni tendono a presentarsi attratti dall’accento americano imbastardito, ma nessuno ha benza conversazionale di sorta. E io sono completamente sobrio e mostruosamente annoiato.

Tuttavia è bastata una canna offerta da Tom per mettere a tacere definitivamente ogni considerazione costo/opportunità dello starmene a casa o meno, considerazioni fino a quel momento voluminose, specie se consideriamo le quattro sterline e quasi tre ore totali di autobus verso e da, e la mia indifferenza al sentirmi o meno un misantropo e/o loser se non faccio niente il sabato sera.

Non fumavo dal mio ultimo ritorno in patria mesi fa, e i quattro tiri che do mi sballano prepotentemente. Un bello sballo carburato dove il pensiero deraglia. Mi lancio in una conversazione con un tale Justin, innocente studente di economia, dove cerco di persuadere il buon Justin, capitalista moderato ma convinto, che l’idea di un occidente post-ideologico è un’allucinazione collettiva e che il capitalismo è un’ideologia paro paro alle altre. Justin dopo mezz’ora si arrende e mi dice che si sente veramente soddisfatto della nostra conversazione e anche messo in discussione ma che alla fine stasera voleva solo fare due chiacchiere e una bevuta e magari ballare un po’, e scappa, lasciandomi con una modalità pezza totalmente insoddisfatta.

Istintivamente mi guardo attorno in cerca di altre vittime. Mi siedo sul davanzale di una finestra e chiedo una sigaretta a un ragazzo un po’ in carne seduto di fianco a me. Mi presento, e al mio nome lui reagisce con entusiasmo dicendomi di chiamarsi Angelo Ancora e suo padre viene da Molfetta e lui che ama l’Italia e gli dispiace di essere solo quasi-italiano. Io gli tendo la mano, ma lui non la prende, anzi non la prende nemmeno in cosiderazione. Dopo due secondi di immobile imbarazzo ritraggo mano e me stesso e me ne torno sul davanzale, interamente perplesso. Al che lui mi tende la sua. Ma non proprio verso di me, ma verso il punto dove mi trovavo qualche secondo prima. Al che il mio cervello rallentato dalla ganja inizia fare due più due. Mi guardo attorno e vedo che dall’altro lato della sedia Angelo tiene riposto un bastone telescopico. Gli stringo la mano e la conversazione riparte, e data a mia inclinazione naturale a voler andare a sbattere dritto contro qualsivoglia “elephant in the room” , suddetta conversazione finisce in breve sulla sua vicenda personale e su come ha perso la vista. Mi racconta la sua storia. Ed è una storia potente.

Angelo ha ventiquattro anni, e prima di perdere quasi completamente la vista due anni fa per una patologia irreversibile simile al glaucoma, Angelo faceva il fotografo. Anzi, la malattia gli è stata diagnosticata un mese esatto dopo aver conseguito la sua laurea in fotografia. La vista è sempre stata la sua porta principale di accesso alla realtà, nonchè il suo strumento di lavoro, nonchè quello che secondo i piani gli avrebbe dovuto dare da mangiare per il resto della vita.

Perdere la vista, come qualsiasi altra disabilità acquisita, è un'esperienza impossibile da immaginare, ma con essa perdere i propri sogni la propria passione e i propri piani per il futuro è un cazzo di colmo.

Ad ogni modo, mentre grossa parte del sottoscritto è 100% empatia, e fa domande e cerca di capire e sapere ed entrare in contatto con questa persona senza pestargli i piedi o invaderlo emotivamente, una piccola cazzo di vocina dal fondo del cranio mi sussurra maliziosamente:

best-seller material”.

E’ Babylon che parla, ovviamente. Anche con la mia poca esperienza come agente e/o editor, so benissimo che se avessi Angelo per le mani gli potrei trovare un book deal con una casa editrice grossa nel giro di poco. Non che Angelo dimostri spiccate doti di story-telling, ma la triste verità del mercato editoriale odierno, specialmente qui, è che per vendere un autore nuovo quell’autore deve avere una storia. E Angelo ha una storia enorme.

Metto Babylon a tacere a forza e continuiamo a parlare per un’ora intera. Per evitare che la cosa si trasformi in un freak-show si finisce a parlare anche di me, e gli racconto un po’ della mia incomparabilmente più noiosa storia.

Intanto mi diverto a osservare le peculiarità del conversare con un cieco. Angelo non è il primo che incontro, ma è il primo con il quale ho una conversazione così estesa e personale. Le mie espressioni facciali, che sono il mezzo principale con il quale di solito comunico al mio interlocutore la mia attenzione, qui non servono a niente, e così mi ritrovo a forzarmi e buttare spesso li un "mh mh", o "I see". Tutta la comunicazione non-verbale sparisce e deve essere sostituita con delle parole. Riscopro il potenziale del contatto fisico, per trasmettere un empatia che se esplicitata a parole sarebbe risultata ridicola o inappropriata, e così gli appoggio spesso la mano sulle spalle.

Gli dico che il mio hobby principale è scrivere e gli parlo del romanzo che sto scrivendo. Iniziamo a parlare di scrittura. Libri letti (o ascoltati) ultimamente, autori preferiti etc. Forse inconsapevolmente forse no, gradualmente sposto la conversazione dallo scrivere all’imparare a scrivere. Parliamo di blog e diari e workshops e di quanto sia importante nella creatività in generale il feedback sincero e costruttivo del prossimo, cosa che Angelo aveva imparato bene quando ancora poteva esercitare la sua arte. Parliamo di come allenare le proprie skills di espressione o analisi emotiva. Com’è come non è, dopo un’altra ora Angelo è convinto di voler scrivere un romanzo autobiografico. Buttiamo la idee, la struttura narrativa, il passaggio stilistico nelle descrizioni da prima a dopo la malattia, etc.

Gli dico che la sua capacità di immaginare visivamente forse non durerà per sempre, e che questo potrebbe essere l’unico periodo della sua vita per farlo, quando ancora la sua mente può immergersi in uno dei paesaggi che fotograva un tempo, e raccontarlo.

Gli dico di pensare al lungo termine, di non lasciarsi prendere da facili entusiasmi, perchè scrivere è una battaglia che si gioca negli anni, dove stamina e disciplina battono sempre il puro talento, anzi dove l'unico vero talento è saper posticipare la soddisfazione.

Ci scambiamo i contatti e gli prometto che se divento davvero un agente o uno scout e lui lo sto romanzo lo scrive, sarò felicissimo di venderglielo.

Prima di andarmene, gli chiedo scusa per avere, anche solo idealmente, commodificato la sua vicenda.

Mi piace pensare di essere stata una specie di levatrice socratica e non un cazzo di mercenario al soldo di Babylon. Ma non fa differenza. Se avrò avuto un impatto nella sua vita, le mie vergogne di uomo bianco e come mi faranno sentire non avranno alcun peso.

Lui tende la mano e mi ringrazia, si alza, estende il suo bastone telescopico e va a sbattere contro il tavolo. Due fighette devastate dall’altra parte della cucina ridono, e tutto il resto della stanza le guarda malissimo. Rido anch’io.


*kudos a chi mi aiuta a tradurre self-entitlement con qualcosa di meglio di “tutto gli è dovuto”, sono giorni che cerco una buona traduzione.

Paghi otto parli per centrotrentotto - sbirciando ad occhi aperti "The Tree of Life" -

E' venerdì, a metà giornata, considerando il ciclo ideale delle ore che compongono un giorno, temperatura mite, umidità almeno al 70%.
Alle soglie del duemiladodici, mese più mese meno, c'è ancora gente maleducata che considera il dialogo durante una proiezione cinematografica un'aggiunta al film per il quale ho versato il prezzo intero.
Uno sarebbe anche disposto a starli a sentire questi commenti - per i primi 30 secondi, fossero magari informativi, emotivi, intimi. Invece come sempre capita in questi casi con film che non si presentano come tali - ma che cercano di trasformare immagini in poesia, frammenti di vita in interrogativi sempre attuali, montaggi di celluloide in stupore facciale - chi ti può capitare seduto attorno, non può che commentare il tutto con frasi piccoline e rattristevoli, tipo "ma che è, superquark?", "tutta quest'acqua m'ha fatto venire voglia di far pipì" il tutto condito nei tempi morti di borbottii risatine stile elementari-medie.

Diceva Visentin, detto "Il Vise" noto come esimio professore di TDP (Tecnologia Disegno e Progettazione) "se mi giro di spalle non divento sordo" questo mentre alla lavagna gesso nella mano tratteggiava indecifrabili geroglifici elettrici.

Manco io divento sordo di spalle, anzi, nella penombra rotta solo dalle immagini mirabolanti che investono tutti i sensi a disposizione, i tuoi commenti si sovrappongono a quello che vedo, lo storpiano, lo camuffano. Come uno che aggiunge con un pennarello "no spegazz" (uno schiribizzo grafico) ad un Pollock.

Quindi, mi interrogo, mi dico, internamente, "che faccio?" Mi alzo e gli sputo contro la mia insofferenza per i fessi che spendono i miei stessi - cazzo - otto euro per venire a propinarmi i loro minchia di commenti? "Bello, io ho pagato solo per il film, tappati la bocca e scriviti i commenti su un taccuino ma senza far rumore."

Ricordo, non con precisione, un tizio che ad una proiezione si impose con un gruppetto di bimbiminkia - sprezzanti del pericolo nel loro essere in gruppo - dicendo "Si no te tasi te sofeghe coe man" (Se non stai zitto, ti soffoco con le mani).
L'uso della voce ci ricorda Grotowski è funzionale spesso quando è in contraddizione con i gesti. La composta postura dell'uomo che aveva apostrofato questa minaccia era rilassata e il risultato fu mirabolante.
Per circa cinque minuti.
La potenza emotiva del gruppo ti fa sfidare anche minacce dirette.

Dall'insegnamento di quella volta ho tratto alcuni importanti insegnamenti.
Mai dire "ssssh" al cinema o a teatro.
Mai alzare la voce.
Mai commentare a tua volta altri che commentano.
Mai alzarsi e fissare quello che sta parlando.
Mai chiedere gentilmente di fare silenzio.
Mai intimidire il prossimo sperando che smetta, o lo fai in maniera clamorosa oppure non vale, ma direi che estrarre una .44 Magnum al cinema-teatro è da folli oltre che illegale (in quel caso forse una lama in controluce può fornire silenziose ma efficaci motivazioni).

Fare tutto questo comporta che ti perdi il film, ti sale l'acido e passi per il rompicoglioni di turno, senza contare che per almeno metà film continuano a girarti le palle.

Quindi, cosa fai?

Guardi il film e se merita spariscono anche i commenti in sottofondo.

Ve lo consiglio, perché è poesia, meraviglia, stupore, emozioni in frammenti, è il montaggio di quesiti e interrogativi è cosa rara nel mucchio dei film che si vedono in giro.
Un'operazione intima e violentissima, di una delicatezza sconfinata, un film che non parla ne racconta, finisce per ricominciare.
Qualcosa che puzza di vita, profumosa vita.

Essendo più poesia-arte-vita che film, le reazioni che ne arrivano possono essere due: amore sconfinato o noia senza confronti.
E' Arte; mica deve per forza colpire tutti, mica sei un eletto perché ti colpisce.


PS: se continuano a parlare per più di 10 minuti puoi sempre alzarti silenziosamente, sederti alle loro spalle e con infinita gentilezza domandare se - smettono di parlare, che se il film non gli piace possono benissimo uscire, ma che non possono privare gli altri di quello per cui hanno pagato dei soldi -

giovedì 12 maggio 2011

Si pronuncia 'stross'!!


In memoria di un fu Biassoni. A quanto dice Youtube, è una scena tratta da "Fortezza Bastiani" un'opera prima di due registi Bolognesi: Alessandro Rossi e Michele Mellara.

La mia coinquilina, per la cronaca, e' chiusa di la' che prepara un esame di antropologia.

lunedì 18 aprile 2011

Qualcuno è morto, in Via Bondi 61/4

Ci sono luoghi che ricorderò per tutta la vita; anche se qualcuno è cambiato, qualcuno per sempre, non per il meglio, qualcuno se n'è andato, qualcuno è restato.
Tutti questi luoghi hanno i propri momenti che ancora posso ricordare con amanti e amici, alcuni sono morti, alcuni sono vivi.
Nella mia vita li ho amati tutti.

Ma di tutti questi amici e amanti nessuno è paragonabile a te.
E questi ricordi perdono il proprio significato quando penso all'amore come qualcosa di nuovo.
Anche se so che non perderò l'affetto per le persone e le cose che sono passate so che mi fermerò spesso a pensare a loro, nella mia vita ti amo di più.

Sono belle le parole di John Winston L. e Paul James M. tradotte così a sentimento.
E' bello aprire la finestre e respirare l'aria.
E' grandioso, poter camminare, mangiare, godere, vivere, bere, ridere, decidere di esistere.
E' meno bello trovare nella tua cassetta della posta un libro incartato nel giornale.

Un distinto modello gay avvolto in un completo gessato R.L. con cravatta, camicia a righe verticali fazzoletto nel taschino mi fissa con sguardo imperscrutabile.
Che mi vuol dire? perché mi fissa e non parla? Che mi vuol dire con quella faccia? il modo in cui ostenta quell'orologio al polso mi indispone.

Il tempo in Italia oggi, Giovedì 14 Aprile 2011 - sottotesto: i postini leggono Repubblica. I postini sono colti. I postini suonano sempre due volte. Il 24 marzo 2006, gli Utah Jazz hanno ritirato la maglia di Karl Malone (detto the mailman), il cui numero 32 non potrà essere più indossato da nessun giocatore dei Jazz.

Mattino
molte nubi e deboli piogge sparse su gran parte delle regioni con neve sulle Alpi occidentali fin verso i 1000/1100m.
Mi ricordo un libriccino di Maxence Fermine - Neve - la storia di un poeta di Haiku che non conosceva il colore, di una funambola imprigionata nel ghiaccio, e di un maestro di poesia cieco; tutte cose da far accapponare la pelle, quasi come gli Everly Brothers che cantano Crying in the rain.

Caffè motta, facile farlo buono.

un piccolo squarcio in basso a sinistra della pagina forse per la fretta nell'averla strappata mi riporta a tanti anni fa, in montagna, quando giocavo a scivolare con la penna tra le parole.
Prendi la penna la punti in cima alla pagina del giornale e senza mai sollevare la punta devi zigzagare tra le parole-lettere e arrivare in fondo.
Cose da veri duri.

oh, baby, baby, it's a wild world, it's hard to get by just upon a smile.

Mi fa male il culo, pardon, le natiche, ho la testa gonfia (in Theme Hospital bastava un clic del mouse) ho lavorato 10 ore 10, zero fun a lot of grinch.
Mi fa male la punta della clavicola della spalla sinistra, e più in basso dallo stesso lato ho perso forza nel braccio. Mi viene ancora il fiatone se faccio le scale tre alla volta.

Fa più male un libro nella buchetta incartato nel giornale che una lancia nel costato.

Guarderò ancora barre che si riempiono, metterò ancora pasta termoconduttiva su lappature di dissipatori, mi emozionerò ancora, con lacrime scriverò frammenti di me, ascolterò, parlerò.
Ho una bottiglia di me ancora da stappare e bere.

lunedì 11 aprile 2011

a l'una e cinquantadue l'insonnia mi prese da tergo

Tra le espressioni che il mondo - nella fattispecie gli uomini, nello specifico le donne - ha avuto la benevolenza di condividere, ricordo, con una punta di piacere "mi fa sentire in pace il respiro della tua pancia sulla mia schiena".

Vado spesso raccogliendo sguardi tra la folla. Seduto sul pavé io non pensavo a te, ma solo il destino ha potuto farmi sedere li, che lo sguardo finisse poco più lontano, sul tuo viso.
Raccolgo sguardi tra la folla e spesso mi pare di riconoscere qualche volto. Mi tornano familiari, vicini, intimi. Persone con le quali ho condiviso parte della mia vita, di cui non ricordo il nome, nemmeno il volto forse; ma dei dettagli. Piccoli frammenti, quasi dei foulard attaccati tra loro con delle gomme da masticare.
Vi è qualcosa di misterioso, nel far combaciare i miei passi, tragitti, direzioni, con quelli di altre persone.

Nella corriera che porta dall'aeroporto Parigi Beauvais Tillé alla città, ho conosciuto un sistemista - rispondo sempre a chi mi domanda "che lavoro faccio" con la frase "il sistemista" per cogliere quella vaga sfumatura di smarrimento che si veste in tutta fretta di un sorriso d'imbarazzo a cui segue la domanda "sarebbe?" - di Modena che alla mia risposta aveva un'espressione di semi-gioia del tipo "non son solo nel mondo".
Mi raccontò di un suo viaggio in Thailandia dove a zonzo con la moto in un villaggio di duecento pescatori si ritrovò fermo a osservare il paesaggio mentre un tizio in moto gli si accostò chiedendogli indicazioni. In meno di un minuto passarono da "ah ma sei italiano?" a "ma dai! abito a quattro chilometri da casa tua!".

Se Bologna è un bucho di culo allora il mondo è un bucho di culo.
Il bucho è quasi un bucio ma è grezzo come il buco.

Sentire il corpo nudo di una donna contro il tuo è qualcosa che mi pare quasi un ritrovarmi a casa. Tra noi e i nostri antenati, forse non c'è poi così tanta differenza - tolta l'information technology, le droghe, la religione, gli aeroporti, le democrazie, i deltaplani, i flussi canalizzatori, uno virgola ventuno gigawatt, Belle e Sebastien, l'acqua minerale in bottiglia, i pannelli solari, la politica, e forse uno virgola cinque milione di anni fa.
Ma il cielo la sera, quando è limpido e fanno capolino le stelle: è sempre quello, le emozioni per un bacio, una scopata sensazionale, circa meno quasi son rimaste le stesse.

Ad esprimere tre desideri, vorrei come primo, "conoscere la risposta esatta a qualunque quesito"; come secondo, veder librarsi in volo un maiale con le ali.
Ma ci pensate? Un vero maiale che dopo una breve corsetta spicca un balzo, sbatte forte le sue ali e si innalza, ascendendo lento ma dolcissimo nel cielo.
Vaffanculo a Dumbo.

alle 2e24 mi son scordato perché ho iniziato a scrivere, e quindi termino ora questa accozzaglia di pensieri sparsi, sperando che non me ne vogliate a male se non concludo; ma è così difficile il mio rapporto con la fine delle cose che mi vien da girarci intorno, tergiversare, procrastinare e infine con una stoccata, concludere di botto.

giovedì 24 marzo 2011

cena per due



Questo è quello che facciamo io e il Biassoni questa sera.
Le trote erano per la laurea di Perno.
Grazie Perno.
E grazie Gibo, perché mentre il Biassoni preparava le trote io leggevo il tuo post.
Mi piacciono tanto i tuoi post, mi piacciono tanto i post e i blog. E le trote.

Ora il Biax e il Pierpa parlano di videogiochi. Parlano fitti fitti e usano delle parole strane. Ora si sentono degli spari. E odore di trote. E un elicottero.

Per tutti quelli che non sono più a Bologna: oggi è arrivata la primavera. Con quella sua ubriacatura d'universo.



venerdì 18 marzo 2011

meteorismo latitante

latitare [la-ti-tà-re] v.intr. (aus. avere; làtito ecc.) [sogg-v]
Restare nascosto; mancare; essere insufficiente, assente.

Il finocchio, è utilissimo per moderare le fermentazioni e favorire l'eliminazione dei gas in eccesso.
Riflettevo proprio a questo, mentre nel palazzo di fronte due goffi manovali disintegravano a colpi di martello pneumatico più olio di gomito++ la cucina/salotto/checazzonesononsivede producendo quel lieto rumore che ti piace tanto sentire il venerdì mattina - per inciso, ponte lungo grazie alla festa del 150°.

Mi pare che "il perno" sia vittima della sindrome della flatulenza mentale.

FASE 1
normale attività quotidiana da cervello.

FASE 2
subentra la flatulenza: a scoppio, col botto, prolungata, silenziosa, meditabonda con inclinazione tipo garisenda, prolungatissima e rumorosa, timida. Giocosa.
Cervello in bomba.

FASE 3
Passa il profumo e il cervello smette di lementarsi/macinare/elaborare.

Vi vedo completamente avvolti dal ritmo sincopato della vostra fitta quotidianità spinta. E ogni tanto quella voglia di tornare a "pernizzarsi" ([...] aspetta che guardo se qualcuno ha scritto qualcosa [...]).

C'è un principio di allegria, tra il mio sopracciglio e l'angolo del mio lobo destro, quando alzo lo sguardo e sento al piano superiore i miei cordiali sopravicini di casa che muovono "cose a caso" producendo quel favoloso suono che si propaga come il grido di un bimbo tra le sottili pareti della camera.
C'è un netto cedimento strutturale quando la notte mi sveglio all'improvviso perché "la vecchia di sotto" vomita dolore dalla bocca e soffre così forte da superare la barriera onirica che mi tiene sospeso alla realtà.
C'è a volte tanto freddo anche se fuori il sole disegna piccole ombre.

Ho finito il fasciocomunista di quel figo di Pennacchi, incominciato Beirut, I love you di Zena El Khalil, inscatolato l'intera mia libreria, in involucri di cartone, ritagliato nei bordi delle maniglie con la punta delle forbici. Recuperato scatole delle merendine per tenere in ordine calzetti e mutande, cosettine che contribuiscono a incasinarmi la scrivania, il microcosmo dove sono l'occulto supersovrano (senza paperi in vista).

Sbircio dalla finestra, c'è una nuvola che sembra uno sbuffo dal camino di un trenino a vapore, una di quelle che disegni da bimbo sfumandola con il ditino sul foglio. C'è una pietra con cui fanno le pipe che si chiama "spuma di mare" di solito si fumano con dei guanti bianchi, perché al contatto si "sporca" e ingiallisce. Mi domando se capita anche così, con alcune persone, se le devi gestire e sfiorare solo con i guanti, perché a toccarle con le dita poi lasci il segno.
Sono una vecchia corta grondaia che incanala tutto quello che scende da sopra lasciandolo sgorgare da sotto.

C'è un'espressione cara ad alcuni miei coinquivita, amici di vecchia data di cui trattengo legami leggeri come fili d'erba stretti tra le mani, un'espressione per sottolineare la difficoltà da durante-post sbornia da vita-alcool; si fissa con sguardo sincero e comprensivo l'amico sbronzo, prossimo al vomito, e gli si dice non troppo alto di volume per non indisporlo: "hai gli ostacoli nel cuore, eh?"

Perno, ti prego, vomita.


[...] soudain le fou rire le prend / et il efface tout / les chiffres et les mots / les dates et les noms / les phrases et les pièges / et malgré les menaces du maître / sous les huées des enfants prodiges / avec des craies de toutes les couleurs / sur le tableau noir du malheur / il dessine le visage du bonheur/

martedì 1 febbraio 2011

La cura al digiuno della conoscenza

Torno tra queste righe, perché non ho più vostre notizie, ne voi mie e mi pare particolarmente brutto - bruttone in senso lato.
Tra le prime cose che mi viene in mente, di cui vorrei rendervi partecipi, è che la nemesi di Braccio di ferro "Bruto" in realtà si chiama "Bluto" e questo mi ha lasciato sempre più indignato di come sia una tendenza italiana quella di storpiare i nomi per renderli più appetibili al palato italiota, pratica ormai consolidata nella traduzione dei titoli dei film stranieri, tra tutti potrei citare uno degli esempi più ecclatanti: "Se mi lasci ti cancello" filmone di Gondry che in originale è quasi identico direi "Eternal sunshine of the spotless mind!" - se vi capita guardatelo è davvero un film che merita.

Questo favoloso preambolo completamente fuori topic - come le migliori puntate dei Simpson - per narrarvi alcune vicende recenti che mi hanno visto protagonista, sgomento e macilento.

Vorrei parlarvi delle afte.
Ho avuto la mononucleosi a Dicembre (quasi quattro settimane con la febbre a 38,5 con la gola così gonfia che per deglutire dovevo bere sempre - mai fatto tanta "plin plin" in vita mia) e lo strascico di questa fantasmagorica malattia mi ha portato nei giorni passati all'aggravarsi di queste simpatiche piaghette nella mia bocca.
Simpatiche, perché ne avevo ben tre, grandi come unghie di un pollice, dislocate in posizioni strategiche - Murphy docet - tali per cui non potevo masticare, dormire, parlare - contemporaneamente o in sequenze modificabili a piacere - senza provare un gaudioso tripudio di malevolo dolore, spalmato uniformemente ma anche no, in tutta la bocca.

Ecco allora che il prodigo Gibo, ovvero il sottoscritto, si è approfonditamente documentato su come curare queste simpatiche piaghette - che viste le dimensioni iniziavo anche a chiamarle per nome e lo ammetto, ogni tanto c'ho fatto pure delle discussioncine, ma a denti stretti, quasi dei ventriloquiodialoghi, giusto per capirci.

Dopo lunghe ricerche e analisi arrivo a verificare di persona le tanto decantate conoscenze, ottenute attraverso i più diffusi canali di comunicazione: tv, radio, passaggio di parola, Mamma Internet, pusher, zdaure, persino una loggia segreta.

Ma Grimilde, la più temeraria delle mie Afte, si opponeva strenuamente, ricordandomi notte e giorno (per 10 giorni) che lei era "la er più forte de tutte" e manco con l'asportazione chirurgica mi sarei liberato del suo ricordo.

Così, un giorno in cui il mio umore più nero, perché mangiare zuppe e stracchino per una settimana e soffrire come un cane è qualcosa che ti varia vagamente l'umore, mi ritrovo per lavoro in un'azienda, dove al mio soffrire - unito al tipico gesto della mano che cerca di evidenziare il punto quasi in difesa del dolore stesso - una signora di vostra conoscenza (quella che mi ficcava le mani nei capelli) piena di premura instaura con me questa conversazione, di cui vi rendo testimoni perché la ritengo prodiga di insegnamento.


"Gibo è scontroso e fastidioso per tutta la discussione, la signora Premurosa è d'atteggiamento Zen sempre pacata e molto convinta."

Sig.ra Premurosa: Che c'è caro, ti fa male un dente?
Io: Magari anche no, è un'afta

Sig.ra Premurosa: Ah! (di chi sta per svelare un incredibile segreto) sai cosa dovresti metterci?
Io: Beh, se intende: liquirizia, sciacquo con sale, limone, iodosan, bicarbonato, aloe vera, calendula, propoli, tè nero, Piralvex e altri 10 prodotti che non ricordo, direi che li ho già provati tutti con scarsi risultati.

Sig.ra Premurosa: Ah! (di chi sta per svelare un incredibile segreto non ancora svelato) non l'hai nominato. Quello che ti dico io, non l'hai detto
Io: (in preda ad una pre-epifania del tipo ora mi svela un misterioso unguento tipo cactus strizzato nel deserto stando nudi rivolti ad ovest al primo calar di luna nel mese di aprile, con il piede destro alzato ma col dorso verso il basso) accidenti, sono curioso di saperlo.

Sig.ra Premurosa: ma non devi spaventarti però.
Io: Certo che no, qualunque cosa è bene accetta
Sig.ra Premurosa: beh il rimedio, è
Io: siii?

(momento suspan - chi può capire capisce)

Sig.ra Premurosa: la pipì
Io: Ah! (di chi è stato partecipe dello svelamento di un incredibile segreto che poteva anche restare tale)

segue zoom sulla faccia di Gibo - che sarebbe la mia - dove lo sgomento e la delusione si fondono in una danza macabra, unita all'accostarsi di un ghigno - forse un sorriso - per celare il mio parziale sentimento di confusione.

Segue una panoramica generale sull'urino terapia con gesti e commenti molto precisi "non pensare al sapore, non ci devi pensare" "dopotutto ce l'hai sempre a portata di mano" "la usavano anche in passato" "io la uso anche come collirio" "puoi farci anche un risciacquo" "va bene anche un batuffolo di cotone, te lo metti li, ma non pensare al sapore, non ci devi proprio pensare" "vedrai che passa in fretta" "ho un libro tedesco che descrive altri mille usi che se ne possono fare"

l'atto si conclude con un gesto simbolico di altissimo livello, la signora Premurosa mi avvicina un bicchiere di plastica dove vi aveva riposto, con premurosa premura, un bel batuffolone di cotone avvolto nella carta.

Così con il mio bel bicchiere sono tornato al mio ufficio, l'ho lasciato cadere nel cestino e ho convenuto fosse il caso divulgare questa perla di saggezza con il responsabile di non vi dico cosa, che al termine del mio racconto ha pronunciato questa frase: "se vuoi ti piscio in bocca e non serve che mi dici grazie".

Se qualcuno è interessato mi faccio dare il nome del "libro tedesco".

Vi abbraccio sentitamente.

PS: per le Afte il miglior risultato è stato l'uso di Aftamed post visita dall'ottorino